Il digital divide è il divario digitale che c’è tra chi ha accesso a Internet e chi non ce l’ha. L’esclusione dai vantaggi che ne deriva ha ripercussioni socio-economiche e culturali.
ll digital divide ha tante forme, ma il suo effetto è comunque negativo per chi lo subisce. Vediamo di cosa si tratta e come ridurlo.
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Digital divide: cosa vuol dire essere esclusi?
Chi è escluso dal digitale appartiene, solitamente, a un ceto sociale svantaggiato e non può permettersi l’accesso alle nuove tecnologie. Per tali motivi è spesso vittima di discriminazione, non può esercitare i propri diritti online e partecipare alla “digital society”, con ripercussioni sia sul piano socioeconomico che culturale.
Chi è escluso dal digitale?
Le categorie più minacciate dall’esclusione digitale sono:
- gli anziani (digital divide intergenerazionale);
- le donne non occupate o in particolari condizioni (digital divide di genere);
- i migranti (digital divide linguistico-culturale);
- i disabili, le persone detenute e coloro che hanno un basso livello di istruzione, e, in generale, chi non è in grado di utilizzare correttamente gli strumenti informatici.
Storia del digital divide
Già a partire dagli anni ’90 si diffonde l’idea di una nuova forma di disuguaglianza sociale causata dal mancato utilizzo di internet. Il 29 maggio 1996 Al Gore utilizza per la prima volta l’espressione “digital divide” per indicare il gap esistente fra gli information haves e gli have-nots nell’ambito del programma K-12 education.
D’allora l’evoluzione del divario digitale prosegue tenendo conto delle numerose variabili che influenzano il libero accesso a Internet, da quelle socio-demografiche a quelle economiche e istituzionali.
Esistono due teorie: la prima prevede la progressiva eliminazione del divario informatico con il livellamento delle competenze digitali; la seconda pronostica il crescente incremento delle disuguaglianze virtuali.
Il digital divide in Italia
Concretamente si parla di digital divide infrastrutturale per gli italiani non coperti da una connessione Internet adeguata, e di digital divide culturale per gli italiani che scelgono di non avere un abbonamento a Internet. Entrambe creano situazioni di svantaggio.
In Italia il digital divide di primo livello, ovvero la mancanza della banda larga (ADSL), riguarda una bassa percentuale della popolazione; mentre il digital divide di secondo livello, inerente alla connessione a banda ultralarga (fibra ottica), riguarda il 20-40% della popolazione. In futuro si parlerà anche di digital divide di terzo livello, vale a dire la mancanza dell’iperfibra ottica (fino a 1 gigabit) nelle case e negli uffici, che in Italia riguarda, attualmente, meno del 20% della popolazione.
Tipologie di divario culturale ai tempi di internet
Distinguiamo tre tipi di divario digitale, ovvero globale, sociale e democratico:
- il divario digitale globale si riferisce alle differenze esistenti tra Paesi più o meno sviluppati;
- il divario digitale sociale riguarda le disuguaglianze esistenti all’interno di un singolo Paese;
- il divario digitale democratico riguarda le condizioni di partecipazione alla vita politica e sociale in base all’uso delle nuove tecnologie.
Il global digital divide altro non è che la possibilità di comprare l’accesso a Internet e alle Information and Communication Technologies (ICT). Non si tratta più di una semplice questione di accesso, ma della qualità e delle modalità d’accesso. Il global digital divide, a oggi, è ancora molto evidente, se si pensa che Cina, Stati Uniti e Giappone detengono più della metà delle connessioni a banda larga nel mondo.
A livello nazionale e internazionale sono stati individuati differenti gradi di conoscenza del digitale. Il digital divide è quindi strettamente legato al knowledge divide.
Il divario digitale di secondo livello riguarda, poi, chi produce contenuti per il web, i cosiddetti prosumer (crasi dei termini producer e consumer) che creano user generated content (UGC). Tuttavia, la percentuale di utenti che partecipano alla creazione di meme, wiki e quant’altro è minima in confronto al numero totale degli internauti. Un alto livello d’istruzione e di reddito sono spesso indice di un comportamento maggiormente partecipativo.
Quando si analizza il fenomeno del divario digitale si parla di conoscenze informatiche insufficienti a svolgere le più basilari attività virtuali in Rete. Probabilmente, si parla anche di carenze infrastrutturali e telematiche necessari a consentire un’efficace navigazione.
La recente giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza di un vero e proprio «danno da digital divide», provocato dalla privazione del diritto di accesso che impedisce all’individuo l’esercizio dei propri diritti online. Tale condizione comporta una mancata opportunità d’inclusione.
Le cause del digital divide
L’accesso alle ICT non è soltanto legato a fattori di tipo geografico e geopolitico, ma anche a età, sesso, reddito disponibile e livello di educazione. Alcuni studi hanno dimostrato che un reddito più alto e un grado d’istruzione superiore garantiscono maggiori possibilità d’accesso alla Rete. È pur vero che gli abitanti delle città più sviluppate sono agevolati nell’accesso alle ICT, rispetto magari alle popolazioni rurali..
Nell’immaginario comune molte nuove professioni, afferenti alle ICT, vengono svolte da uomini; quando ciò si verifica si parla di gender gap. Eppure, non sembra esserci un reale divario di genere nell’accesso alle tecnologie digitali. Anzi, a parità di reddito e livello di istruzione, le donne sembrano in grado di sfruttare meglio le opportunità provenienti dalle ICT e dalla smart cities education.
Perché è importante ridurre il digital divide
L’Internet governance è «lo sviluppo e l’applicazione da parte dei governi, del settore privato e della società civile, nei loro rispettivi ruoli, di principi, norme, regole, procedure decisionali e programmi condivisi che determinano l’evoluzione e l’uso di Internet».
Internet ha un grande potenziale, da cui deriva la necessità di garantire un accesso libero e gratuito a chiunque, attraverso l’adozione di apposite politiche inclusive. Il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite ha infatti espressamente dichiarato internet come un diritto fondamentale dell’uomo, «una forza nell’accelerazione del progresso verso lo sviluppo nelle sue varie forme».
Tramite Internet gli Stati hanno il dovere di facilitare il godimento di diritti inalienabili, come la libertà d’espressione, e di “diritti derivati” come l’acceso facilitato alle informazioni e la possibilità di partecipare attivamente ai processi di costruzione della democrazia (laddove presente).
L’uguaglianza digitale ricopre un ruolo di prim’ordine nella società odierna, eppure non si è ancora deciso se formalizzare il diritto di accesso ad Internet nell’ambito dell’ordinamento giuridico.
Se da un lato con l’avvento della Società dell’Informazione aumentano le opportunità di sviluppo, dall’altro si rischia di aumentare il gap con coloro che non hanno accesso alle ICT. Questa nuova forma di disuguaglianza sociale rappresenta, senza dubbio, un grave fattore di discriminazione culturale.
Il digitale come bene comune
Considerare Internet come un bene comune significa permettere a tutti, dagli abitanti delle smart city a quelli dei centri rurali, di avere un accesso libero e paritario alla Rete. Questo è un dovere degli Stati e di chi si occupa di internet governance.
La questione della net neutrality, ossia della presunta neutralità della Rete, incide poi sulla sfera relazionale, economica ed educativa dei singoli, oltre che sull’intera società: i social network site (SNS), dopotutto, moltiplicano il potere comunicativo degli utenti.
Le barriere d’accesso a Internet (vere e proprie fonti di discriminazione), tuttavia, escludono l’individuo dall’intrecciare relazioni e, usare a proprio vantaggio gli effetti, talvolta positivi, della Rete.
Per quanto riguarda l’istruzione dei più giovani, il 70% degli insegnanti, oggi, assegnerebbe ai propri alunni compiti che richiedono l’utilizzo della banda larga. Un bambino su due, però, è impossibilitato a finire i propri compiti a causa dell’assenza di un’adeguata connessione a Internet. Da ciò si evince l’incapacità delle istituzioni politiche e scolastiche a preparare i piccoli futuri lavoratori alle reali esigenze del mercato.
Come ridurre il digital divide
L’espressione digital divide viene sostituita di frequente da termini come digital accessibility, digital skill o media literacy. Difatti oggi il digital divide non è più solo il divario digitale relativo al mancato accesso alle ICT, ma anche con rispetto alla connessione mobile, sfruttata da quasi il 95% della popolazione globale.
Per questo andrebbero considerati tanti altri fattori, come la velocità e larghezza di banda, le competenze digitali del singolo, le attività in Rete ecc. Sostituire il concetto di digital divide con quello di digital inclusion è utile a comprendere meglio come per “inclusione digitale” s’intenda l’insieme di tutte quelle attività che assicurano agli individui l’accesso alle ICT. In particolare, le attività interessate riguardano:
- un servizio Internet a prezzi accessibili e di buona banda;
- dispositivi con accesso a Internet in grado di soddisfare le esigenze di tutti;
- percorsi educativi all’uso di Internet e delle altre tecnologie digitali;
- supporto tecnico di qualità;
- applicazioni e ambienti digitali che rendano l’utente autosufficiente e partecipante attivo.
Eliminare il divario digitale è l’obiettivo di molte organizzazioni internazionali e associazioni che si occupano di Internet governance nel mondo. Ecco i quattro principi riconosciuti come possibili soluzioni al digital divide:
- l’uguaglianza economica;
- la mobilità sociale;
- la crescita economica;
- un'organizzazione democratica.
L’accesso paritario alla Rete va di pari passo con l’uguaglianza delle condizioni economico-sociali che gli Stati dovrebbero assicurare ai propri cittadini. È importante fornire alle generazioni più giovani un’adeguata istruzione digitale per crescere dei nuovi nativi digitali e migliorare la media literacy di tutte le fasce della popolazione, soprattutto le minoranze vulnerabili.
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